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IMPATTO DELLA PANDEMIA DA COVID-19 E DELLE RESTRIZIONI DELL’ATTIVITÀ SPORTIVA




Dopo più di un anno dall’inizio della pandemia da Covid-19, l’emergenza sanitaria non sembra ancora terminata, con ogni effetto che ne consegue sulle attività sociali ed economiche maggiormente coinvolte, ma soprattutto con un notevole impatto sulla pratica dell’attività motoria e sportiva in generale. La strategia di preparazione attiva, che era stata proposta dall'OMS attraverso i documenti “Strategic Preparedness and Response Plan for COVID-19” e il “WHO Defined Transmission Scenario”, con finalità di contenimento del contagio locale, nel piano nazionale si sono tradotte concretamente in scelte gravose come il lockdown a singhiozzo, e tra i destinatari degli ormai innumerevoli provvedimenti restrittivi ci sono state fin da subito le strutture sportive di ogni genere (palestre, piscine, centri sportivi, ecc.) che nella primavera del 2020, sono state prima completamente chiuse e poi gradualmente riaperte - comunque con forti limitazioni - sino ad arrivare al d.P.C.M. dello scorso 24 ottobre che ne ha sancito nuovamente la chiusura, che con rammarico perdura fino ad oggi per le attività da svolgersi al chiuso e verrà mantenuta almeno fino al 31 maggio 20215, a fronte del riaumento dei contagi avvenuto nell’autunno del 2020 e non ancora risolto. In sostanza, in presenza di scenari denotati da particolari gravità c.d. zone rosse e arancioni, ancora oggi lo svolgimento dell’attività motoria è consentito esclusivamente in prossimità della propria abitazione, all’aperto ed in forma individuale, mentre è consentito su tutto il territorio comunale nelle zone gialle. L’attività sportiva è consentita, invece, all’interno del comune senza limitazioni legate alla prossimità, ma comunque sempre solo in forma individuale e all’aperto. Ciò che si può osservare dal combinato delle disposizioni normative-regolamentari, con i chiarimenti del Governo è sostanzialmente che, mentre l’attività sportiva è sempre consentita, ma con stringenti limitazioni sull’accesso alle strutture, lo svolgimento dell’attività motoria presso le palestre, o nei centri sportivi, è invece estremamente confinato a quelle prestazioni connotate da un’utilità di carattere terapeutico, o comunque da erogarsi successivamente all’insorgenza di una condizione patologica. Dunque, resta pressoché totalmente escluso l’accesso agli impianti e alle strutture sportive per tutti quei soggetti che non praticano un vero e proprio sport, ma che svolgono attività volte al loro benessere in modo preventivo, anche solo individualmente attraverso una semplice camminata, o più in particolare con esercizi fisici indicati da professionisti qualificati che lavorano presso i centri sportivi. Per di più l’accesso ai corsi in piscina con i medesimi fini è totalmente altresì in zona gialla. Gli individui - soprattutto quelli non più giovani - che non sono in grado di attrezzarsi per fruire dei corsi organizzati tramite piattaforme telematiche da parte delle palestre, dei circoli o delle società presso cui si recavano prima della pandemia per essere aiutati e coordinati nello svolgimento dell’attività motoria, rischiano così di trovarsi in una condizione di totale assenza di supporto e quindi di sedentarietà, con ripercussioni sulla loro salute come verrà a breve illustrato. Inoltre, non è da sottovalutare come la condizione di isolamento e l’assenza di un obiettivo come quello di recarsi presso una struttura dove svolgere attività motoria - se non con cadenza quotidiana, almeno più volte durante la settimana - influisca sul benessere anche psicologico degli individui, che a fronte di un arresto molto prolungato dell’attività delle strutture rischiano di perdere interesse, o comunque quelle abitudini che contribuiscono al mantenimento della loro salute psicofisica. Questa perdurante situazione necessita di una valutazione sistematica e realistica dell’impatto che le restrizioni hanno sortito sulla società e sul mondo dello sport a tutti i livelli, ma anche i numerosi risvolti sulla salute pubblica e il benessere collettivo. Per poter disporre di un’analisi fedele delle conseguenze determinate dalla sospensione dell’attività motoria e sportiva è necessario descrivere in primis gli effetti indiretti della pandemia determinati dal lockdown, immaginato come una “sedentarietà obbligata”, e quindi conseguenti alla privazione dell’attività motoria (per il benessere e sportiva). La rivista Lancet nel 2012 descrive una situazione pre Covid-19 definita “Pandemic of Physical Inactivity” (Pandemia dell’Inattività Fisica), a dir poco preoccupante, con il 31% della popolazione mondiale che non svolge l’attività motoria minima raccomandata e con una prevalenza di inattività è del 17%. Tale situazione predispone, come sottolineato nell’articolo e da numerosi studi scientifici, a patologie croniche come diabete, ipertensione, patologia cardiovascolare, con forte impatto non solo sulla salute pubblica, ma anche sulla spesa sanitaria. Se le restrizioni e la chiusura con i conseguenti effetti indiretti penalizzano colui che non ha contratto il virus, la letteratura offre sempre maggiori evidenze che il Paziente che sopravvive alla fase acuta del Covid-19 è destinato a fare i conti con le conseguenze del danno multi organo, a volte irreversibili, riducendo la probabilità di ritornare al livello di attività motoria e sportiva precedente. Le restrizioni conseguenti al distanziamento sociale hanno certamente causato una variazione delle abitudini di coloro che svolgevano quotidianamente attività motoria e sportiva a livello amatoriale e agonistico con riflessi importanti sulla qualità di vita.





Stress psichico, rabbia, alterazioni del ritmo sonno veglia catalizzano esercitano un effetto peggiorativo sulle conseguenze biologiche determinate dall’interruzione improvvisa e obbligata dell’attività motoria riconosciuta universalmente come un reale strumento di prevenzione e salute nella lotta contro le patologie associate. La letteratura scientifica riporta come solo pochi giorni di condotta sedentaria siano in grado di interferire con il corretto funzionamento del sistema neuro-muscolare e cardiovascolare determinando perdita del tessuto muscolare, della perfusione dell’ossigeno a livello tissutale, insulino-resistenza, e alterazioni del sistema immunitario9. Ne deriva la dimostrazione che uno stile di vita sedentario, costituisce fattore di rischio significativo per le patologie croniche e in particolare per quelle cardiovascolari incrementando l’indice di mortalità. Considerando il soggetto sportivo, gli studi scientifici condotti documentano in modo preoccupante come solo un periodo variabile tra le due e quattro settimane di ridotta attività possa causare un’alterazione a livello ultrastrutturale. Tale adattamento biologico funzionale conosciuto come “de-training effect” (de- allenamento) o physical de-conditioning (de condizionamento fisico), peggiornato dalla mancanza di attrezzatura idonea (presente nelle strutture attualmente chiuse e dalla inappropriata metodologia di allenamento) è un termine impiegato per descrivere la perdita o la riduzione degli adattamenti fisiologici con ripercussioni in termini di peggioramento degli aspetti prestativi. In alcuni Pazienti che hanno contratto il virus, risolta la polmonite interstiziale, potrebbero essere frequenti importanti manifestazione di fibrosi polmonare con residue alterazioni permanenti della funzione respiratoria: uno dei primi fattori da considerare come effetto sullo sportivo a breve e lungo termine. Risolta la fase critica della malattia, infatti, rimangono le conseguenze sugli organi colpiti che possono avere ripercussioni non solo dell'attività sportiva per la quale è richiesta un'elevata richiesta funzionale, ma anche sulle semplici attività quotidiane e lavorative. Esaminando gli apparati si capisce come gli effetti diretti del virus compromettano in modo più severo lo sportivo che ad essi non si può sottrarre.

L’apparato respiratorio rappresenta il principale bersaglio dell’infezione da SARS-CoV-2 nonché il principale strumento di trasmissione dell’infezione. Nonostante siano tuttora relativamente ristrette le conoscenze riguardo alla patogenesi dell’infezione virale da SARS- CoV-2, oltre ai polmoni, anche il cuore si è rivelato un possibile bersaglio del virus. I pazienti più a rischio di complicanze cardiache da COVID- 19, sembrano essere quelli già affetti da malattie cardiache, gli anziani e quelli con fattori di rischio cardiovascolare, quali ipertensione arteriosa e diabete con significativo incremento del tasso di mortalità. Studi scientifici condotti su quadri infettivi da SARS hanno indicato il sostanziale coinvolgimento del sistema muscolo-scheletrico con ripercussioni dirette su muscolo, osso e complesso articolare. Si rende necessario considerare che l’incremento dei tempi di ventilazione induce un quadro pro- infiammatorio che può indurre debolezza muscolare e fragilità ossea con conseguente riduzione della qualità della vita. Un elemento da non trascurare e sul quale nessuna istituzione sta ponendo attenzione è la situazione dei pazienti che hanno superato i sintomi acuti del Covid 19 e per i quali potrete iniziare un lungo e insidioso percorso verso la guarigione. Immaginiamo quando tale situazione si verifica in uno sportivo che deve ritornare in tempi rapidi allo sport. Precedenti esperienze sull’infezione da SARS-1, virus che ha afflitto il nostro paese precedentemente, hanno dimostrato come i pazienti presentavano limitazioni per un lungo periodo dopo la dimissione dall’ospedale. In molti casi persistevano deficit fisici, cognitivi e psicologici per molti anni.




Con il procedere degli studi sui pazienti che hanno superato il Covid-19, si è documentata la persistenza di un quadro sintomatologia a livello del sistema muscolo scheletrico in un elevato numero di Pazienti. Similarmente al Covid-19, studi precedentemente condotti su pazienti con SARS hanno mostrato la persistenza di fatica ad un anno dall’infezione iniziale, mente in un altro studio il 40% dei Pazienti riferiva fatica dopo quattro anni. In primis il ruolo dei fattori centrali nella genesi delle conseguenze dirette del virus trova un razionale scientifico negli studi che dimostrano come l’agente patogeno SARS-COV2 sia dotato della capacità di diffondersi non solo per via ematogena, ma anche penetrando a livello del sistema nervoso centrale. Da quanto detto, la relazione tra fattori centrali e fatica post covid-19 potrebbe essere determinata dell’invasione del SNC da parte del virus con alterazione dei livelli di neuro trasmettitori (dopamina e serotonina), incremento dell’eccitabilità neurone intrinseca, infiammazione, demielinizzazione e altro ancora non noto.


Proseguendo nella disamina dei fattori correlati alla fatica persistente nei Paziente che hanno superato l’infezione, quelli psicologici sembrano possedere un ruolo coadiuvante la genesi della fatica persistente e si identificano in stress, ansia, depressione e paura sono imperanti. Da ultimo, ma non per importanza, è d’obbligo approfondire il ruolo che rivestono i fattori periferici. Il virus, infatti, sembra avere l’abilità di infettare una grande varietà di tessuti con un potenziale unico di colpire il muscolo. L’integrità di tale sistema, muscolo-scheletrico, rappresenta la “conditio sine qua non” che consente la genesi dell’atto motorio necessario non solo per espletare le attività quotidiane, a bassa richiesta funzionale, ma le sportive a tutti i livelli. Nel paziente che ha contratto il coronavirus e che ha intrapreso il percorso di recupero, è riscontrabile con elevatissima frequenza una costellazione sintomatica caratterizzata da dolore articolare (artralgia), debolezza e dolore muscolare (mialgia) e propensione alla lesione. Parimenti l’atleta, superato il Covid-19, durante la fase ri-allenamento e di recupero potrebbe non più raggiungere il precedente livello prestazionale, con rallentamento o addirittura interruzione della propria carriera sportiva.



In conclusione, risulta complicato trovare un ragionevole compromesso medico-giuridico tra la necessità di mantenere delle linee guida volte al contenimento della diffusione del virus, ma nel contempo di riprendere l’attività motoria e sportiva al fine di impedire che si verifichino devastanti conseguenze in termini di salute pubblica dovute alla sua interruzione e di garantire un ripartenza in sicurezza dell’attività motoria a tutti i livelli e non solo in maniera episodica nelle zone gialle, o bianche. Una ripresa con le dovute cautele soprattutto per gli atleti agonisti che, superata la fase critica del Covid- 19, potrebbero incorrere in danni multiorgano con conseguenze in primis sulla propria salute e secondariamente sulla propria carriera sportiva. Per tale motivo grande attenzione dovrebbe essere rivolta al “return to sport” sottoponendo l’atleta non solo all’attenzione del medico dello sport, che valuterà le conseguenze polmonari e cardiologiche dal punto di vista anatomico e funzionale, ma anche ad un team di specialisti del movimento. Accompagnare l’atleta durante la ripresa del gesto atletico e della performance è doveroso e necessario per garantire il reinserimento dello sportivo all’interno della squadra nel più breve tempo possibile e con una performance identica a quella precedente la malattia. Si rivela doveroso parlare di ripresa dell’attività motoria nei soggetti non svolgono sport, per i quali parimenti l’attività motoria si identifica come un efficace strumento di salute, benessere, prevenzione e controllo di patologie croniche. Un gruppo molto vasto, destinato a incrementare smisuratamente a causa della pandemia, e per il quale sarebbe necessaria l’attività congiunta di ulteriori figure professionali. Per rispondere non impreparati all’enorme necessità che si manifesterà dopo la pandemia, è necessario individuare chiaramente una figura professionale poliedrica, interdisciplinare e competente in ambito motorio che potrà accompagnare, migliaia di anziani nel recupero dell’attività motoria di base che possa consentire il mantenimento dell’indipendenza e di una accettabile qualità di vita. In questo senso, il dottore in scienze motorie possiede i requisiti formativi per interfacciarsi con le varie realtà e co-progettare, insieme allo specialista, una sorta di “preparedness motoria” per il recupero della funzionalità muscolo-scheletrica, necessaria non solo per il ritorno allo sport agonistico, ma anche per il recupero del movimento che consente lo svolgimento delle normali attività quotidiane come alimentarsi, vestirsi, mobilizzarsi deambulare (conosciute come “daily living activity”) e per l’attività motoria intesa come corretto stile di vita con finalità principalmente di prevenzione e di mantenimento della buona salute. Alla luce di quanto esposto, attraverso questo articolo si manifesta l’esigenza di una prospettiva interdisciplinare che rappresenti un attuale punto di partenza per un osservatorio scientifico sul quale costruire una corretta politica della prevenzione volta non solo a sconfiggere il virus, ma a co-progettare e mettere in atto misure preventive per le conseguenze che l’improvvisa interruzione dell’attività sportiva ha determinato e determinerà a breve e a lungo termine.




Per informazioni o appuntamenti:


320/4853050



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